Il 25 settembre scorso io e Chiara abbiamo trascorso a Expo una giornata intera. Io ci ero già stato a giugno una sera e ne avevo parlato qui. Le cose sono cambiate molto da allora: i padiglioni incompleti sono stati completati, e il numero dei visitatori è cresciuto esponenzialmente.
Ci siamo svegliati di buon’ora, in modo tale da essere ai tornelli d’ingresso per le 9.20 circa, ma una volta arrivati ci aspettava una brutta sorpresa: l’ingresso era stato anticipato alle 9 (e non alle 10 come è sempre stato), quindi c’era già tantissima gente che entrava e iniziava a formare le file ai padiglioni più importanti.
Alle 9.40 riusciamo a entrare, ma non ci fermiamo se non per qualche foto di rito, perché il nostro obiettivo è il padiglione giapponese, famoso per le sue code eterne (fun fact: il padiglione del Giappone è visitabile solo con una visita guidata della durata di 50 minuti, ecco perché la sua coda è sempre la più lunga), ma purtroppo situato praticamente alla fine del Decumano.
Dovete sapere che il Decumano è lungo 1,5 km, non esattamente una passeggiata di piacere, soprattutto se percorso in fretta e furia. Ma tanto è tutto inutile: una volta arrivati di fronte al padiglione giapponese, la coda è già di 4:30 ore.
Sì, avete capito bene. Dopo soli 45 minuti dall’apertura, il Giappone risultava già umanamente non-visitabile. Chi è che perde 4 ore e mezza per fare una coda? Noi no di certo. Non stiamo mica parlando del frontman di qualche band famosa, ma di un padiglione (Chiara aggiunge: 4 ore e 30 di fila non le farei neanche per Jane Austen, se resuscitasse).
Mi sembra giusto premettervi di non preoccuparvi: abbiamo comunque visitato parecchi padiglioni, pur rinunciando – a malincuore – a quelli principali come Giappone, Emirati Arabi e Italia.
Padiglione del Qatar
Sconsolati ma non abbattuti, ci voltiamo e decidiamo di visitare il padiglione del Qatar, che è giusto lì dietro. La coda è molto scorrevole e dura una decina di minuti. Il cielo è sereno e fa molto caldo, siamo contenti di essere lì in una così bella giornata.
Una volta all’interno del padiglione, subito dopo l’entrata, ci aspetta una tavolata colma di cibi finti per spiegare le abitudini gastronomiche dei qatarioti (con l’ausilio di qualche display touch):
Mangiano cose strane, i qatarioti. Ma non neghiamo che ci sono sembrate appetitose. In sintesi è questo che mi aspetto da un’esposizione sul cibo: che mi venga mostrato del cibo, non necessariamente reale, e che tale cibo sia descritto e spiegato nel dettaglio, in maniera tale che io, visitatore medio, possa farmi una cultura almeno superficiale riguardo ciò che viene mangiato e consumato negli altri paesi, soprattutto quelli più lontani da me.
La visita prosegue tra luci e pannelli illustrativi, dove viene spiegato tutto il sistema che sta alla base della produzione del cibo in Qatar.
Per concludere assistiamo a un gioco di luci e colori in una sorta di “pozzo”, dove abbiamo una simpatica discussione: Chiara si augura di essere rapita dal figlio dell’Emiro del Qatar. Del resto, secondo lei, è proprio un bel ragazzo e scrive pure poesie. Ma il suo Romeo rimango io, su questo non si discute. Ecco le foto che ho scattato in questo posto:
Per concludere con il Qatar, una foto carina che ho fatto dall’esterno:
Padiglione della Russia
Si trovava vicino a quello del Qatar e non poteva di certo mancare, soprattutto quando ti porti appresso una ragazza che ha intrapreso un lungo percorso di amore/odio nei confronti dell Russia per ben 5 anni. La Russia non contemplava nemmeno un minuto di coda, e questo è stato sicuramente un punto a favore di due pigri viaggiascrittori.
L’entrata al padiglione è così trash che più trash non si può. C’è pure un enorme specchio sopra le nostre teste che ci permette di vederci riflessi mentre camminiamo verso l’ingresso. Sembra un seguito di Alice in Wonderland.

Eccoci: noi siamo quei due cosi al centro della foto. I due tizi di fianco non so chi siano, perciò ignorateli.
Nel padiglione russo, più che il cibo è la vodka a fare da padrona. Ci sono almeno 2 o 3 barman che servono a una fila di turisti alcolizzati uno shottino gratuito. E ci credo, serve dell’alcol per affrontare le sale successive, tappezzate da elementi chimici e finti erbari:
La Russia tornerà nel video che abbiamo realizzato (o sarebbe meglio dire che Chiara ha realizzato) e che incollerò a fine articolo.
Padigione del Sultanato dell’Oman
Trattati di un padiglione molto bello esternamente, con qualche carenza, secondo me, a livello contenutistico nella zona espositiva. Tuttavia ci ho perso 5 minuti per compilare i dati relativi a un concorso: sono sicuro che sarò io la persona selezionata per vincere un viaggio nel Sultanato dell’Oman!

Prima di entrare ho fatto questa foto a Chiara, e ora sto “democraticamente” decidendo di inserirla nell’articolo
Le scale che portano all’ingresso del padiglione ti danno l’impressione di essere state studiate apposta per farti sentire il più immerso possibile nel paesaggio dell’Oman, anche se in realtà ti trovi a due passi da Milano:
L’interno mi ha dato più che altro l’impressione di voler mostrare cose piuttosto che esporre una propria idea di “nutrire il pianeta”. Ecco un paio di foto che ho scattato all’interno, più un’altra fatta all’esterno per concludere:
Padiglione del Turkmenistan
Detersivi e monitor. Nient’altro. Una delusione totale, una trashata senza eguali. Ah sì, c’era una grossa palla strana e luminosa sospesa in alto tra due pareti con appiccicati addosso degli enormi tappeti. Diciamo che il Turkmenistan non ha ben afferrato il tema di Expo:
Padiglione Zero
Del Padiglione Zero abbiamo visto la coda, e ci è bastata:
A questo punto si inserisce la pausa pranzo. Siamo già stanchissimi e stremati, e il numero di gente è incalcolabile. Optiamo per un panino con la porchetta umbra a uno stand vicino al Padiglione Zero. Costoso e piccolo, ma buono (almeno quello!). Consumiamo questo nostro parco pasto seduti alle panchine nel centro del Decumano. Chiara è abbattuta, ci sono code ovunque. Dobbiamo mettere in conto che, se vogliamo vedere qualcosa di bello, ci tocca perdere un po’ di tempo in fila. E così facciamo una volta finito il panino.
Padiglione dell’Angola
Come ben sapete (se avete dato uno sguardo all’altro articolo che vi ho segnalato all’inizio), io c’ero già stato. Per me è stata solo una conferma, ma volevo mostrare a Chiara un padiglione per cui valesse la pena fare un po’ di coda. Coda che è durata un’oretta scarsa e che in alcuni momenti ci ha lasciato cuocere sotto il sole, con gli addetti alla fila che seminavano il caos e l’anarchia tra i visitatori, dando indicazioni assurde anziché mantenere un flusso ordinato di persone.
Non starò qui a tediarvi parlandovi di un padiglione che ho già illustrato in un altro articolo, perciò passo la palla al balzo e chiedo a Chiara di dire la sua:
Un padiglione di quelli che non ti aspetti. Se, come me, sei allergico alla geografia e non hai la più pallida idea di dove sia posizionato l’Angola nella cartina dell’Africa, allora questo padiglione ti darà da pensare. Innanzitutto, bellissima l’idea della grande installazione di schermi in forma di baobab: il baobab è un albero importante per molti paesi africani; se ne mangiano le foglie, i frutti, persino i semi, oltre a utilizzarlo per decine di altre cose benefiche. Perciò è anche chiamato albero della vita. Attraverso l’albero della vita, l’Angola ci racconta delle sue donne, del loro ruolo nella società, della loro importanza, del loro indissolubile legame con l’alimentazione. Ecco, questo è ciò che non mi aspetto di vedere, e commuove.
Padiglione della Repubblica di Corea
Questo padiglione è senza dubbio quello che ci ha colpito di più, soddisfacendo le nostre aspettative su quello che un’esposizione sul cibo dovesse rappresentare. È anche il padiglione che ci ha fatto venire più fame, complici dei volantini sui piatti coreani che abbiamo sfogliato per passare il tempo durante la coda. Infatti, una volta usciti, ci siamo avventurati nell’assaggio di uno snack chiamato “ravioli croccanti”, che erano dei ravioli a tutti gli effetti. Freddi e croccanti, contenevano ingredienti che non conoscevamo e altri che abbiamo riconosciuto, come l’immancabile cipolla. Ci sono piaciuti un sacco e ci hanno solo messo più fame.
Il padiglione coreano è anche il più tecnologico e particolare di quelli che abbiamo visto, dimostrandoci ancora una volta che gli asiatici ci sanno fare quando ci si mettono seriamente. Ecco a voi qualche scatto dimostrativo:
Visto che le è piaciuto davvero tanto, anche Chiara ha deciso di dire la sua su questo padiglione:
Alcuni l’hanno definito inquietante. Può darsi. Le atmosfere del Padiglione Corea ricordano un po’ un film di fantascienza: grandi schermi, proiezioni, veri e propri spettacoli di tecnologia a tema alimentare. Ma è l’interrogativo lanciato a fare il cuore pesante: alla luce delle difficoltà del presente, come si nutrirà il futuro? Non si può parlare di alimentazione senza tenere conto del suo contrario: la fame, che inquina le nostre tavole come l’ologramma di quel bambino smagrito. La Corea prospetta per il domani un’alimentazione sicura, salutare, equa: è solo un’idea, certo, ma apprezzabile. Su tutto aleggia il profumo dei piatti cucinati nel ristorante sottostante: una nuvola di spezie che fa pizzicare la gola. Decisamente merita una visita.
Padiglione del Regno Unito
Unico nel suo genere per la bellezza architettonica che lo contraddistingue, il padiglione UK non brilla nel mostrarci un’area espositiva degna di questo nome, dimostrando che gli inglesi non si sono impegnati granché nella risposta alla domanda “Come nutrire il pianeta”. I cibi e le tradizioni culinarie inglesi sono particolari e famosi in tutto il mondo, a partire dall’abbondante colazione fino ad arrivare al buonissimo fish ‘n chips da mangiare direttamente dal cartone, ma niente di tutto questo si è visto nel padiglione di Expo.
Abbiamo visitato altri padiglioni, come quello del Vietman, quello dell’Ungheria, quelli (molto piccoli) appartenenti al cluster del cioccolato e del caffè, la foresta pluviale del padiglione della Malaysia, quello dell’Austria (dove io ero già stato), e per finire anche le terrazze di padiglioni la cui area espositiva era già stata chiusa, come il padiglione della Germania, quello degli USA (da cui abbiamo potuto assistere allo spettacolo del padiglione del Kuwait, che vedrete poi nel video) o quello del Nepal.
Abbiamo poi cenato da Eataly, scegliendo la regione Molise (a proposito, potrebbe arrivare una “sorpresa molisana” sul blog, prossimamente) e ordinando delle orecchiette con pesce (solo vongole e cozze, pochissimo condimento, deludenti) e un totano grigliato su crema di peperoni (molto buono, ma comunque troppo costoso).
E per ultimo abbiamo assistito – in condizioni precarie – allo spettacolo dell’albero della vita. A causa della sua statura e della densità della folla, Chiara non ha visto praticamente nulla. Come se non bastasse, un’ambulanza si è piazzata nel nostro campo visivo per soccorrrere una signora.
Expo si conferma per ciò che mi era già sembrato: una bella cosa che non sempre riesce a centrare l’obiettivo. Uno può chiudere gli occhi davanti agli appalti truccati, davanti alla massiccia presenza delle multinazionali che il pianeta più che nutrirlo lo avvelenano (la coca cola, che io sappia, non è esattamente un succo d’arancia), ma non può chiudere gli occhi di fronte al mancato raggiungimento dell’obiettivo (vedi Padiglione del Turkmenistan). Sono però felice di appurare che molti altri invece hanno centrato in pieno il tema, e sono sicuro che i tre padiglioni più gettonati (Italia, Emirati Arabi e Giappone) abbiano fatto altrettanto, e proprio per questo registrano code disumane.
Ciò che rimarrà alla fine di Expo è il dubbio. Perché se, come ho già scritto su, la domanda è “Nutrire il pianeta”, non sono certo di aver capito qual è la risposta. L’Esposizione in certi punti ne esce vincitrice sotto scroscianti applausi, in altri un po’ meno. Sono comunque positivo e aspetto i dati ufficiali una volta che chiuderanno i battenti. Nel frattempo, godetevi questo video-disagio:
P.s. se l’articolo vi è piaciuto condividetelo su tutti i socialcosi, anche perché vi ricordo che Expo chiude il 30 ottobre!
4 Commenti
Michela
Ottobre 4, 2015 at 8:59 pmEro lì anche io quel giorno!! Io son entrata da Roserio più o meno al tuo stesso orario, 9.45. Zero fila a quell’ingresso, a mio parere il più scorrevole in assoluto (non ho mai trovato code, nemmeno quando son entrata di sera).
Io la coda al Giappone l’ho fatta, 3.30 indicate, ma poi si son rivelate poco meno di 3.
Per il Padiglione Italia invece mi han detto 2 ore ma alla fine son state 2,30 (in Giappone il ritardo infatti nemmeno sanno cosa sia a momenti, mentre in Italia……..ahahaha).
Confermo che la scelta di aspettare “andiamo verso fine Expo tutto il giorno, tanto ci saranno già stati tutti e ci sarà meno gente” è stata un’enorme sbaglio..ho visto più padiglioni durante le due entrate SERALI nei WEEKEND di Agosto che durante il giorno settimanale settembrino O.O
Ps. carinissimo il video!
Marco Tamborrino
Ottobre 4, 2015 at 9:02 pmCiao Michela, grazie del commento!
In effetti hai ragione, anche noi abbiamo fatto il tuo stesso ragionamento pensando che verso la fine ci andasse meno gente, complice la fine delle vacanze… e invece! Io e Chiara abbiamo ancora due biglietti, ma non sappiamo ancora se ci torneremo.
P.s. noi siamo entrati dall’ingresso della stazione ferroviaria, non so quale sia, ma arrivavamo in treno da Busto Arsizio 🙂
Michela
Ottobre 4, 2015 at 9:46 pmEh, anche io prima pensavo di tornarci…ma vista la situazione la vedo dura..dicono che ottobre sarà il mese con più affluenza!! Magari prendo un pass saltafila…
L’entrata di Roserio è quella dal lato opposto…vicino alla collina mediterranea, quindi vicinissimo al Giappone! Se vi capita entrate da lì!
Tra l’altro se volete andare in auto, si può parcheggiare gratuitamente al Metro di Baranzate (o comunque lì in zona ci son diversi spazi spazi) e arrivare a Expo a piedi in 10 min!
Marco Tamborrino
Ottobre 4, 2015 at 9:50 pmVa bene, ne terremo conto!
Grazie mille dei consigli 🙂