Da molto tempo Marco ed io pianificavamo una visita al Museo del Novecento di Milano… Così, la prima domenica di dicembre ci è sembrata l’occasione perfetta: infatti, grazie all’iniziativa #DomenicaAlMuseo del Ministero dei Beni Culturali, ogni prima domenica del mese si può accedere gratuitamente a monumenti, musei, gallerie, scavi archeologici, parchi e giardini monumentali dello Stato! Come se non bastasse, abbiamo scoperto che proprio domenica 6 dicembre il Museo del Novecento festeggiava il suo quinto compleanno: per l’occasione sono state organizzate visite guidate gratuite, performance artistiche, laboratori creativi per i più piccini e persino iniziative digitali, come la #cacciaaldettaglio, l’hashtag lanciato sui social in collaborazione con La Lettura per invitare i visitatori del Museo a condividere i propri scatti al dettaglio.

Anche se non siete di Milano, non farete fatica a trovare il Museo del Novecento. Sorge, infatti, in Piazza del Duomo, alla destra di quello straordinario merletto bianco. A ospitare le sale del Museo è Palazzo dell’Arengario, costruito tra il 1936 e il 1956: la facciata è decorata con bassorilievi di Arturo Martini, ma l’elemento che cattura davvero lo sguardo è il neon collocato dietro le finestre ad arco del piano superiore, opera di Lucio Fontana.
L’arte contemporanea mi affascina fin dai tempi delle superiori. Il suo essere cervellotica, assurda, buffa, scandalizzante me la rende particolarmente cara: tutto può essere arte, quando nasce da un pensiero d’arte, è il messaggio degli artisti e del Museo del Novecento. Su questo punto ho faticato un po’ a convincere Marco, più dedito all’arte figurativa. Ma credo che anche lui, alla fine della visita, abbia cominciato ad apprezzare…
Salendo per lo scenografico scalone in foto si accede alle prime sale del Museo. Il visitatore è qui accolto, quasi abbracciato, da un dipinto molto noto di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato. Che impressione vederlo da così vicino, tanto è grande!

Il percorso prosegue con un piano dedicato quasi interamente all’arte futurista. Ma prima si fa un salto all’estero con le opere di celebri artisti di diverse avanguardie. Ecco per esempio un Braque intitolato Port Miou: nonostante le ridotte dimensioni, i suoi colori sono una festa per gli occhi.

Poco discosto, gli fa compagnia un espressivo Modigliani, che anche il visitatore più ignorante può riconoscere dal caratteristico collo allungato.

Ma protagonista indiscusso del primo piano è, come dicevo, il futurismo italiano e, in particolare, uno dei suoi maggiori esponenti: Umberto Boccioni. Il Museo del Novecento ospita molte sue tele, nonché la celeberrima scultura Forme uniche nella continuità dello spazio, che tutti conosciamo per la sua assidua e rassicurante presenza sulle monetine da 20 centesimi. In realtà, non è l’unica scultura di questo tipo: ne esistono altre versioni in diversi musei nel mondo. Impressionante? Lo è.


Non possiamo offrirvi una dettagliata panoramica del Museo, perciò mi limiterò a raccontarvi delle cose che ci hanno più colpito. Per esempio, le straordinarie sculture di Arturo Martini, come la testa di giovane in cui ho fissato a lungo gli occhi (in realtà, stavamo giocando a chi ride prima…) e il contorto uomo che sembra prender vita dalla pietra. Non conoscevo questo artista e ne sono rimasta piacevolmente impressionata.

L’opera che ha colpito di più Marco è stata certamente questo dipinto di Giorgio De Chirico, a cui è dedicata un’intera saletta. Si intitola Il Figliol Prodigo e dal vivo fa decisamente la sua figura.

E, ancora, la deliziosa Signorina seduta di Lucio Fontana. Dopo un certo numero di sale, Marco ed io abbiamo cominciato a invidiarla…

Un paio di scatti random.


A un certo punto, un’opera di Fausto Melotti ci ha indotto in una tentazione irresistibile. Scoprite perché.


Lo prometto, mi avvio a concludere. Ma prima spiate insieme a me i granellini di sabbia sulla tela qui sotto (di cui non ho trattenuto, ahimé, titolo e autore)… oppure trattenete il fiato di fronte alla grande Rosa Nera di Jannis Kounellis, davvero scenografica.



La visita si è conclusa con uno dei miei artisti contemporanei preferiti, Pietro Manzoni. Manzoni ha avuto la geniale intuizione che, a rendere tale l’arte, non sia una comprovata perizia tecnica dell’artista, bensì il semplice fatto di essere una creazione, l’emanazione di un pensiero dell’artista. L’artista stesso è arte, e così lo sono i suoi scarti, il suo fiato, il suo autografo, le sue impronte… Di fronte a opere come quelle di Manzoni, molti possono storcere il naso e negare che si tratti di arte, ma non così il sistema dell’arte, che rende onore alla sua produzione.


Molto a malincuore, mentre scrivevo questo articolo mi sono resa conto che c’è un intero livello del Museo che non abbiamo visitato, ovvero quello ospitato nelle sale dell’adiacente Palazzo Reale e dedicato alla pittura analitica, alle nuove figurazioni e all’arte povera. Qui si trova la testa di zebra a cui è intitolato l’articolo, l’opera Zebra (Fibonacci) di Mario Merz, che desideravo tantissimo vedere. Purtroppo andavamo un po’ di corsa, per completare la nostra #DomenicaAlMuseo con una visita alla Pinacoteca di Brera, e siamo incappati in questa cantonata micidiale. Mentre ci avviavamo verso l’uscita, non riuscivo a smettere di chiedermi: dov’è la mia testa di zebra? Ma non ne farò un dramma, no, perché almeno ho un’ottima scusa per tornare!