Connemara… Una parola dolce, che si frantuma in bocca, leggermente arrotata: non è il nome di una principessa celtica, bensì quello di una regione dell’Irlanda occidentale, nella contea di Galway. Scopriamola insieme.
Connemara: l’Irlanda che incanta
Il Connemara è una regione di incomparabile bellezza paesaggistica, con le sue torbiere, i pendii erbosi in cui vanno a perdersi pony e pecorelle, gli specchi lacustri che incantano l’osservatore.
Ma, come scriveva Virginia Woolf, “la bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro d’angoscia” e pure il Connemara ha avuto (e ha) la sua parte d’angoscia. Duramente colpito dalla Great Famine, la grande carestia irlandese di fine 800, è sempre stato un territorio aspro e avaro con i suoi abitanti, che sono soliti dire: “You cannot eat the landscape”, il paesaggio non si mangia. Tanta bellezza, insomma, ma poca generosità: il Connemara è una principessa crudele.
Qui abbiamo trascorso il nostro ultimo giorno di esplorazione, prima di lasciare l’Irlanda il dì successivo: è stata una degna conclusione, che ci ha riempito il cuore di nostalgia. Non avendo noleggiato un’auto, la nostra scelta è caduta sulla Galway Tour Company e le sue gite organizzate in autobus.
C’è un po’ di confusione in stazione e riusciamo a salire a bordo giusto in tempo per la partenza: mentre il panico di essere lasciati a terra sfuma gradualmente, il bus esce da Galway e inizia il suo percorso, con l’immancabile guida-autista che racconta episodi salienti della storia irlandese.
La nostra prima tappa è Kylemore Abbey. Raggiungerla richiede poco meno di due ore, durante le quali facciamo soste solo per scattare qualche foto. Il paesaggio, punteggiato di laghetti (il Connemara ne è letteralmente costellato!), scorre incantevole di là del finestrino. Attraversiamo i paesini di Recess e Clifden.
Kylemore Abbey e la sua storia
Arrivati a Kylemore Abbey, abbiamo 2 ore libere per visitare il castello e i giardini e per pranzare. Kylemore Abbey ha una storia curiosa, che vale la pena raccontare. Fu fatta costruire nella seconda metà dell’800 da Mitchell Henry, dottore e politico inglese, come regalo per la moglie Margaret.
In gioventù, i due avevano trascorso qui il loro viaggio di nozze e si erano innamorati della zona, allora ancora più aspra e selvaggia. La costruzione in stile neo-gotico (brodo di giuggiole per gli amanti dei period dramas) divenne quindi la loro residenza, con il nome di Kylemore Castle.
Ma ripetute tragedie si abbatterono sugli Henry, distruggendo la loro felicità coniugale: la morte di un figlio, prima, poi quella della stessa Margaret, stroncata da dissenteria durante un viaggio in Egitto. Nel 1909 Mitchell Henry vendette la proprietà ai duchi di Manchester, che però si indebitarono fortemente e furono costretti a vendere a loro volta.
A beneficiare di questo furono delle suore benedettine che erano fuggite dal Belgio durante la Prima Guerra Mondiale. Kylemore Castle divenne così Kylemore Abbey, monastero e collegio femminile. Negli anni successivi il castello e i giardini furono aperti al pubblico per incrementare le entrate, mentre la scuola chiuse nel 2010. Le monache però ci vivono ancora e sfornano ricette per torte.
Per prima cosa abbiamo visitato i Victorian Walled Gardens, gli spettacolari giardini vittoriani, raggiungibili con un bus navetta. Camminando nel verde, tra sentieri, aiuole splendidamente fiorite e curate, serre ed edifici per gli attrezzi, arriviamo alla casa del capo giardiniere. Non so quanto daremmo per vivere qui.
Usciamo a malincuore per riprendere l’esplorazione dei giardini. Mi sento come catapultata in Alice nel Paese delle Meraviglie: da un momento all’altro mi aspetto di intravedere un Bianconiglio o che i fiori parlino o che qualcuno tuoni, “tagliatele la testa!”.
Dopo questa bella e profumata passeggiata è giunta l’ora del nostro pranzo al sacco. Ma qualcosa va storto: la Tea Room all’ingresso dei giardini esercita su di noi un’irresistibile tentazione. Per cui finiamo a pranzare con cappuccini e fette di torta: arancia e mandorla per Marco; lemon e carrot cake per me. Semplicemente divine: grazie, monache.
Per redimerci da questo peccato (ma anche perché il bus navetta è strapieno) torniamo al castello a piedi, fermandoci a scattare foto sulla via.
Siamo davvero in ritardo: l’autobus riparte tra circa 40 minuti e non abbiamo ancora visitato il castello. È ora di precipitarci: doppiamo i turisti che si attardano e aggrediamo la dimora. Sarebbe bello (e doveroso) sostare a leggere i pannelli illustrativi, ma non c’è tempo.
Tempo di percorrenza degli interni di Kylemore Abbey: circa 2 minuti, e non scherzo! Ci precipitiamo fuori e copriamo la distanza che ci separa dalla cattedrale neo-gotica.
Il tempo a nostra disposizione è terminato e facciamo ritorno all’autobus. Nel pomeriggio ci aspettano altre incantevoli soste, per cui non la prendiamo troppo male.
Kylemore Abbey
- Biglietto intero 13€ (scontato 8€ con il tour di Galway Tour Company)
- Sito web
Killary Harbour: il fiordo irlandese
Entriamo nel cuore del Connemara. La prossima fermata è Killary Harbour, l’unico fiordo irlandese, lungo 16 km. Qui vengono allevati cozze e mitili, che finiscono nelle squisite zuppe dei dintorni. Il bus sosta accanto a un tradizionale albero delle fate: i nastrini colorati che vi sono appesi rappresentano tanti desideri.
Siamo sul confine tra la contea di Galway e quella di Mayo. Il Connemara è inconfondibile: il paesaggio è dominato da verdi colline, dove pascolano le pecore, resti di cottage e grandi laghi, come Lough Maska, Lough Carra e Lough Nafooey.
La grande carestia e la Doolough Tragedy
Durante la carestia la popolazione di queste regioni fu decimata. L’alimento base della loro dieta, le patate, erano state colpite da una malattia e la gente moriva di fame. Nel 1849 qui ebbe luogo la cosiddetta Doolough Tragedy: centinaia di persone affamate e gravemente debilitate, comprese donne e bambini, si misero in marcia per raggiungere Delphi Lodge, dove avrebbero dovuto sottoporsi un’ispezione per continuare a ricevere assistenza dal governo inglese. Molti di loro morirono lungo il percorso.
Una marcia annuale commemora questo evento, giunto fino alle orecchie degli indiani Choctaw in America, che 18 anni prima degli irlandesi avevano percorso una vergognosa marcia di 500 miglia, scacciati dal loro territorio. Appresa la tragedia, i Choctaw raccolsero 710$ da donare agli affamati irlandesi, che restituirono la cortesia nel 1992.
Cong
La sosta successiva è l’incantevole villaggio di Cong, famoso per essere stato il set del film premio Oscar A quiet man, diretto da John Ford. La peculiarità di Cong è data dalla sua posizione geografica: si trova infatti nel punto di confluenza tra i laghi Mask e Corrib, lungo le sponde di un piccolo fiume che attraversa il centro abitato. Altri torrenti delimitano il villaggio, rendendolo a tutti gli effetti un’isoletta.
La nostra sosta è durata 45 minuti, giusto il tempo di visitare due delle attrazioni principali: i resti di un’antica abbazia e il Monk Fishhouse, una piccola costruzione sul fiume anticamente usata dai monaci per pescare, attraverso delle aperture nel pavimento.
Qui siamo stati raggiunti dal sole, che ha finalmente deciso di uscire dal suo nascondiglio per restituire alla natura i suoi colori, regalando a questo paesaggio acquatico una straordinaria bellezza. Sì, il Connemara continua a stupirci.
Ross Errilly Friary
Connemara alle spalle, la giornata esplorativa volge al termine, ma ci aspetta un ultimo incantesimo. È Ross Errilly Friary, un monastero medievale francescano, abbandonato nel 1832 e ormai in rovina.
La sua storia assomiglia a quella di molti altri complessi monastici irlandesi, una storia di costruzione e distruzione, di tolleranza e persecuzione, a seconda dell’orientamento religioso dei suoi occupanti, cattolici o anglicani, e di quello dei regnanti inglesi.
Quel che resta di Ross Errilly Friary colpisce per imponenza e solennità. Nelle sue stanze a cielo aperto, tra le colonne e i sepolcri, si rischia di smarrire il senso dell’orientamento, tanti sono i corridoi, i percorsi, le sale.
Ormai è tardo pomeriggio e facciamo ritorno a Galway con la tristezza nel cuore: sappiamo che questa è la nostra ultima escursione in Irlanda, prima di tornare in Italia il giorno seguente. Mentre Marco dorme e la sua testa ciondola di qua e di là sullo sfondo di un paesaggio sempre verde, mi salgono le lacrime agli occhi al pensiero di lasciare tutto questo e tornare agli affanni quotidiani.
Ma c’è ancora un’esperienza da fare prima di rientrare in Italia, ed è quella di una serata in un pub irlandese. Per l’occasione scegliamo O’Connor’s a Salthill, su consiglio della proprietaria del B&B.
Non potremmo trovare qualcosa di più tipico: il soffitto del locale è decorato con vecchie lampade, reti e conchiglie; ovunque sono accatastate bottiglie e oggetti in disuso, un repertorio vintage davvero invidiabile. Ah, e i tavolini sono quelli di vecchie macchine da cucire Singer.
Ordiniamo due Guinness al banco, le nostre ultime, e ascoltiamo un po’ di musica live, suggestive e malinconiche ballate made in Ireland, che sanno già di nostalgia.
2 commenti
Bellissimo reportage, molto interessante (: Se posso darvi un consiglio, ingrandite le fotografie! Sono così belle ma così piccole che è un peccato non poterle ammirare al meglio (:
Ciao, Roberta, grazie per il commento! Teniamo le immagini piccine per farcene entrare tante (ma proprio tante), però se ci clicchi sopra puoi visualizzarle e zoomare a piacimento 🙂